E se...

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Martedì 27 maggio dicevamo. Ecco, tra la conferma di Mancini e la scelta di puntare su Mourinho, negli uffici milanesi di Moratti si aggira questo fantasma dalle grandi orecchie. Presto capiremo se ha vinto lui.

   Quello che è successo in questi giorni all'Inter è stato commentato in tutta Italia da chiunque. Al di là della convenienza, al di là della convinzione, al di là della fede sportiva, c'è un solo punto comune a tutti i commenti: la sciocchezza fatta da Moratti. Questo è assodato per chiunque. Ed è assodato perché nessuno, in fondo, riesce a dare una spiegazione a quest'esonero. Un esonero che ha dell'incredibile. Un esonero dell'allenatore tre volte Campione d'Italia. Un esonero troppo clamoroso per essere giustificato con qualche dissapore o con qualche dichiarazione fuori luogo o con qualche partita balbettante. Un esonero che non può nascere da una presunta gelosia di chi si vede la scena rubata. Un esonero troppo assurdo, un esonero senza motivo. E allora un motivo proviamo a darglielo noi. Per carità, nessuno qui vuole scoperchiare il vaso di Pandora: vogliamo semplicemente fare un gioco. Un gioco in cui noi siamo il Presidente dell'Inter.
   Ma non è così semplice, naturalmente. Siamo il Presidente dell'Inter e, a 100 anni dalla fondazione della nostra società, abbiamo dimostrato che se si gioca tutti secondo le regole pochi possono tenere il nostro passo. Da quando è stata tolta di mezzo quella che noi riteniamo essere una "banda di truffatori", in Italia non ce n'è stato per nessuno. Abbiamo fatto incetta di trofei lasciando magnanimamente le briciole agli avversari più valorosi. E così stiamo per iniziare la quarta stagione di questa Epoca d'Oro. Una stagione nella quale verosimilmente non cambierà nulla: troppo superiori ai nostri avversari italiani per esserne impensieriti, troppo inferiori ai nostri avversari europei per poterli insidiare. Caspita, l'Europa. Presi come eravamo dalle numerose rivincite da gustare e dagli infiniti sassolini nelle scarpe da riversare sul Patrio Suolo, ci stavamo dimenticando dell'Europa. Un'Europa molto diversa da quella alla quale guardavamo, sognanti, qualche anno fa. Non è più l'Europa del Real Madrid, non è più l'Europa del Barcellona, non è più l'Europa dell'Arsenal. Non è più l'Europa delle favole. È l'Europa delle multinazionali. È l'Europa di Abramovich e di Glazer, di Gillet e di Hicks. L'Europa in mano a chi negli ultimi anni ha drogato il mercato e ha costruito corazzate a suon di dollari e rubli. L'Europa in pugno ai russi e agli americani. Ma cosa ci manca per essere come loro?
   Sì, insomma, dove sta scritto che dobbiamo inseguire per tutta la vita chissà quale vendetta sui nostri vicini di casa? Chi ci ha ordinato di dover combattere giorno dopo giorno con Zamparini e Sensi? Chi ci ha imposto come punti di riferimento Cobolli Gigli e Berlusconi? C'è una finale di Champions League che si disputa a Roma. Ci guardiamo intorno e ci rendiamo conto, realisticamente, di essere gli unici ad avere qualche speranza di arrivarci. Ci guardiamo allo specchio e realizziamo che siamo in condizione di poter scegliere la nostra dimensione. Ci liberiamo dei complessi passati e vediamo che, quando ci è stata data l'opportunità, ci siamo mostrati più forti di tutti. Ci togliamo le bende dagli occhi e notiamo che qualche pacco di milioni da affogare nel mercato ce lo abbiamo anche noi. Comprendiamo, finalmente, che i mezzi per sparigliare il tavolo dell'Europa che conta ce li abbiamo tutti. C'è solo un problema, e paradossalmente è proprio la corazzata che abbiamo creato con tanta fatica.
   E sì, perchè la nostra creatura ha caratteristiche particolari. È forte, anzi fortissima, in Italia. È convinta dei propri mezzi, ha caratteristiche tecniche e strutturali che la rendono perfetta per un percorso duro e tortuoso come la Serie A. Ma ha dimostrato più volte di non essere troppo a suo agio in Europa, nel territorio nemico, nella terra da riconquistare. Paradossalmente la sua forza in Italia diventa la sua debolezza in Europa. E in più è fondata su un certo numero di giocatori che sì, hanno portato esperienza e l'hanno fatta crescere, ma ora iniziano a sentire il peso degli anni. Poi c'è l'allenatore, un baby-fenomeno, un fenomeno in divenire. Anche lui tosto, immenso sotto casa. Ma anche lui tradito dall'Europa. Tradito dal nostro obbiettivo. E poi i modelli da imitare, ce lo siamo appena detti, sono altri. Non più Sensi e Berlusconi, ma Glazer e Abramovich. Non più le favole fatte in casa, ma le multinazionali del pallone. Noi, i nostri soci e i nostri sponsor vogliamo sederci al tavolo con loro. Vogliamo prendere parola, vogliamo che tutti ci ascoltino. E vogliamo farlo subito. Perchè nel raggio di mille miglia, solo noi possiamo farlo.
  Noi siamo il Presidente dell'Inter e guardiamo il mondo con occhi nuovi. Che scelte faremmo, in questo gioco?

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