Il garantismo da Curva Sud

 

Così si trasformano i casi gravi della giustizia sportiva in casi fatui

di Piero Vietti@pierovietti

Il calcio è cosa buona e giusta, da quando è stato inventato diverte, educa, emoziona, insegna, esalta e intristisce. Il gesto atletico, il dribbling ubriacante, il gol capolavoro, il miracolo del portiere. Forse nessuno sport è così metafora della vita quanto il calcio, pulito per definizione e nel contempo naturalmente sporco, come tutto a questo mondo. Allo stesso modo la giustizia sportiva appare, mai come di questi tempi, metafora della giustizia italiana, con tutto quello che ne consegue: protagonismi dei magistrati, caccia alle streghe, arresti in favore di telecamera, processi mediatici che finiscono nel nulla e il solito schierarsi su due fronti, giustizialisti e garantisti. Con una differenza sostanziale, però: nel calcio il garantismo diventa immediatamente grottesco, allegro e spesso fatuo. Garantismo da bar sport, annacquato, e dunque svilito, dal tifo sportivo. Lo si vede in questi giorni di deferimenti sul calcioscommesse, con il caso del patteggiamento (rigettato) chiesto dall’allenatore della Juventus, Antonio Conte, accusato di non avere denunciato un paio di partite truccate dai suoi giocatori ai tempi in cui allenava il Siena. Di colpo nei commenti il capo d’imputazione svanisce, social network, blog e giornali diventano curve, il problema è l’attacco alla propria squadra, chissenefrega delle altre squadre colpite da penalizzazioni più gravi. Ieri, quando il procuratore Palazzi ha chiesto 15 mesi di squalifica per Conte, Andrea Agnelli ha parlato di “dittatura dei giudici” (come se fosse Berlusconi, o Cicchitto, o il Foglio). Nel paese delle carceri che esplodono, delle custodie cautelari che non finiscono, dei sospettati incarcerati perché confessino, il garantista tifoso (solitamente inappuntabile) trasforma casi gravi in casi fatui, riduce tutto in burla grottesca, meglio se con un tweet da curva Sud.

Il garantismo pallonaro, oltre che essere annacquato, viaggia a fasi alterne, è subito abbandonato se a essere colpito è il rivale storico, al quale anzi spesso e volentieri viene rinfacciato qualche trascorso con la giustizia sportiva, in quel caso sì giusta (o manchevole di avere colpito l’avversario a dovere, ma la differenza è sottile). Un conto è sostenere che – nel caso specifico – Conte non è colpevole di omessa denuncia, un altro partecipare al dibattito sul caso omettendo la gravità del reato contestato, trasformando la difesa da tali accuse in consigli da allenatore in canotta e rutto libero (“patteggia!”, “non patteggiare!”, “mandali a fanculo!”, “dimostra la tua innocenza!”, come in un derby). Permettere che una partita di calcio sia truccata (nel caso di Conte ancora tutto da dimostrare, peraltro) è cosa grave, nel paese in cui un accusato per bancarotta finisce in carcere per un anno e viene distrutto non si può ridurre un’accusa come la truffa sportiva alla stregua di un coro della tifoseria avversaria a cui ribattere dicendo che l’arbitro è cornuto.

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di Piero Vietti   –   @pierovietti

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