INTER-CESENA 2-1

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THAT'S INCREDIBLE

Nel giorno in cui i pianeti (intesi come Inter, Napoli, Udinese e Lazio) si riallineano, mi piace sottolineare un po' di cose. A cominciare dal fatto che il nostro campionato è ben strano se celebriamo con larghi sorrisi una vittoria in casa con il Cesena retrocesso. E infatti basta informarsi un po' per vedere che - sì, un campionato strano, diciamo così - la nostra classifica ci pone a 22 punti dal primo posto, e i nostri gol subiti sono 47 (6 più della Fiorentina, per dire), e la nostra differenza reti dopo 35 giornate è +5 (la Juve +44, per dire), e la casella delle sconfitte dice sempre 12. Numeri iperbolici, iperbolicamente negativi. Ma siamo terzi, e adesso ce la dobbiamo giocare.

La sera del 25 marzo (un mese fa) (che sembra almeno un anno fa), dopo Juve-Inter e prima del benservito a Ranieri, l'Inter era ottava in classifica con 10 punti di distacco dalla Lazio, 7 dal Napoli e dall'Udinese, 3 dalla Roma e 1 dal Catania che ci aveva testè superato. In 6 giornate con Stramaccioni, 4 vinte e due pareggiate, abbiamo recuperato 10 punti alla Lazio, 9 al Catania e 7 a Napoli, Roma e Udinese. Tutto questo, ribadisco, con 4 vinte e due pari. Vuol dire che le altre si sono fermate. Cazzi loro, intendiamoci. Bene, tutto questo ora ci esonera dal fare i soliti giochini (se solo avessimo i 6 punti con il Novara ecc. ecc.) e ci impone di giocarcela, e basta. Giocarcela.

Il calendario sembrava quasi impossibile, ma cammin facendo potrebbe essersi ammorbidito. Andare mercoledì a Parma con la squadra in bilico era un conto, ma adesso il Parma è salvissimo e con la pancia piena, e magari non la giocano con il coltello tra i denti. L'ultima, a Roma con la Lazio (dio mio, l'ultima giornata a Roma con la Lazio, roba da toccarsi i coglioni per mesi), potrebbe non essere più decisiva per la Lazio, che ormai sembra aver mollato. Certo, in mezzo c'è il derby, che potrebbe essere la partita più dolorosa di una vita. Se la perdi, finisce lì. Se la pareggi, forse non serve a una sega. Se la vinci, consegni lo scudo a quell'altra squadra antipatica come un dingo attaccato allo scroto e che non riesco nemmeno a nominare. Ma questo è il calcio, bellezza. Cioè: una bella merda. Non sempre, ma qualche volta sì.

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(nella foto: atti di nonnismo)

 

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Una lacrima per Mourinho

 

Una lacrima sul viso:
“Quella lacrima sul viso è un miracolo d'amore, che si avvera in questo istante per me”.


Bobby Solo, cantò queste parole nella sua celebre canzone.
Una lacrima, ha bagnato nella notte del 25 aprile, il volto di molti tifosi interisti; non certo per la difficile annata, nemmeno per l'ultimo match vittorioso con l'Udinese: l'hanno versata, incollati davanti al televisore, vedendo il loro più grande amore dopo l'Inter.
Colui che, s'è separato ormai da due anni coi colori nerazzurri, ma resta e resterà l'uomo a detta dell'intera famiglia nerazzurra perfetto: uno di quegli uomini così perfetti da riuscire a convincere persino la suocera, facendosi prima piacere, divenendo poi indimenticabile.
Egli piacque fin da subito, dal giorno in cui sposò i colori nerazzurri, divenendo in seguito il marito perfetto, convincendo la suocera Moratti, a cui sono piaciuti fino in fondo pochi, se non pochissimi sposi del club di Appiano Gentile.
Mourinho mise d'accordo come pochi, tutti: qualunque supporter dell'Inter, giocatore, chiunque facesse parte della dirigenza del team.
Josè è attualmente lontano da Milano, perlomeno fisicamente, ma possiamo esser certi che, una parte del suo cuore batte ancora per quella maglia italiana, col nero e l'azzurro.
Anche i tifosi interisti d'altra parte lo sentono vicino: basta accendere la tv per ricordarsi delle magiche vittorie assieme, di quella Champions che ripagò il popolo dopo quarantacinque anni senza un trionfo in tale competizione; basta guardarlo per emozionarsi, pensare ad egli per tifare Real.
Madridisti che sono usciti in Europa, lasciando la manifestazione calcistica per club più importante.
Lacrime di delusione versate dai blancos, un'altra volta sconfitti nella ex coppa dei Campioni a cui va aggiunta quella d'amore dei nerazzurri.
Una lacrima per Mourinho.

di Gianluca Valotti

BEN RITROVATI

UDINESE-INTER 1-3

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Ecco, il debutto vero di Stramaccioni è stato questo. Nelle precedenti quattro occasioni (l'assurda Inter-Genoa, la sciupata Cagliari-Inter, la normale Inter-Siena, l'insulsa Fiorentina-Inter) aveva portato a casa l'obiettivo minimo, la media inglese (che era molto meglio che perdere, sia chiaro). Ma quella di Udine era una partita diversa. Uno scontro diretto (e sappiamo che merda sono stati gli scontri diretti quest'anno), con una squadra che ci precedeva in classifica, su un campo oggettivamente difficile e, per noi in particolare, piuttosto avaro, o generoso di inculate se si preferisce. E l'abbiamo vinta facendo un grande passo in avanti nella clamorosa gara di ciapanò che è la corsa al terzo posto, un incredibile torneo a chi vince meno, una specie di gara di sottrazioni in cui le vittorie valgono 6 punti e le sconfitte non contano una sega. Alla sua quinta partita Stramaccioni tira una riga e può dire di avere recuperato sette dei dieci punti di distacco dal terzo posto che aveva trovato quando gli avevano consegnato la squadra. E di avere recuperato soprattutto un'idea di squadra, e di avere chiamato a raccolta tutte le forze, almeno quelle disponibili.

Fare un ragionamento con basi solide su tutto quello che abbiamo visto in quest'ultimo mese è un'impresa titatica. Basta pensare al fatto che tre giorni fa avremmo preso a calci in culo Sneijder e avevamo dato Stankovic per finito, Guarin per non pervenuto, l'Inter da rifondare eccetera eccetera. Oggi abbiamo visto un albero di Natale quasi perfetto, un olandese rinato, un giovane argentino partire in contropiede e segnare di destro, un colombiano con ampie prospettive, un piccolo e verde animale acquatico riprendere coraggio, un serbo che sembrava Russel Crowe e via di questo passo. In tre giorni abbiamo visto tutto e il contrario di tutto. E abbiamo detto tutto e il contrario di tutto. Ora potremmo organizzarci così per domenica: fare il tifo sperticato, comprare uno scatolone di Oriociok e andare alla Snai a giocare la vittoria per 7-0 del Cesena. Almeno una su tre la azzecchiamo.

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(nella foto: un film di fantascienza)

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COMPLICI

 

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Il contrasto tra la settimana di lutto (quant'è bello andare ai funerali con i fumogeni) e il week-end di merda pura è quanto mai suggestivo. Il lutto corale (quant'è bello andare tutti insieme ai funerali, in fondo come fare una trasferta, però non si distruggono i treni) è durato molto poco e siamo tornati al letame ordinario tra partite sospese, cori antisemiti, sfottò e sputi. L'Italia del calcio è questa, quest'ultima intendo. Piangere un ragazzo di 25 anni che muore in campo è una cosa che viene di default, molto più facile - molto più autentica, automatica, molto più ovvia direi - che non mantenere la barra dritta in una domenica normale. E infatti è bastata una settimana, e oplà.

Gli ultrà di Genova non mi dicono niente di nuovo rispetto al passato. In ogni curva, fatta per la gran parte di gente normale, ci sono quei 50-100 facinorosi violenti e squisitamente fascisti che governano i pecoroni e fanno vibrare gli anfibi. No, non c'è nulla di nuovo. E anch'io non ho nulla di nuovo da dire rispetto a un pensiero che mantengo stabile nel tempo, e cioè che le curve le chiuderei. La parte sana delle curve non avrà difficoltà a resettarsi e risistemarsi. E la parte malsana vada a delinquere altrove o, come sarebbe giusto che fosse, a firmare i registri in questura. Sia pure con qualche progresso rispetto al passato, lo stadio continua a essere un ricettacolo di delinquenza vera o latente, che trova sfogo in episodi come quello di Genova: nel sentirsi padroni del gioco, dello stadio, del destino degli altri (i tifosotti). Violenti come i ragazzini che ci prendevano il pallone quando giocavamo al campetto e lo portavano via. Stessa cosa, con bicipiti più grossi e cervelli più deteriorati.

L'errore grave, madornale, insostenibile, schifoso lo hanno fatto piuttosto i giocatori del Genoa. Non è stata paura la loro, è stata connivenza, complicità. E' stata una resa incondizionata a tutto: alla ragione, alla passione, alla dignità. Non si calano le braghe di fronte a 50 avanzi di galera che in favore di telecamere e teleobiettivi (beh, se non emettono 50 Daspo stavolta...) decidono che il gioco è finito e vogliono che ti levi la maglia. La maglia, in questo ridicolo gioco del pallone, è forse una delle poche cose su cui val la pena spendere qualche sentimento vero. La maglia è la maglia. E' la giustificazione stessa, cari cagasotto del Genoa, delle vostre vite, dei vostri contratti, dei vostri lauti stipendi, della gente che vi viene a vedere. Che non sono solo i 50 galeotti a cui ubbidire come schiavetti al guinzaglio da sadomaso, ma è soprattutto gente normale, che ama il rosso e il blu come noi il nero e l'azzurro, e ha amato anche le peggiori ciofeche che hanno indossato quella maglia e quei colori, perchè è così, il calcio è questo, non puncicare il prossimo o spaccare i fanali delle macchine. Il calcio è anche perdere, è anche fare figure di palta, è anche finire in B o in C. Le vostre facce piagnucolose non se le ricorderà più nessuno, ma il Genoa resterà. Resteranno le bandiere rossoblu. Resterà la maglia, quella che vi siete tolti con un gesto che rimarrà nei secolo.

Togliersi la maglia è stato patteggiare - una volta di più - con il marcio del calcio. Non è ancora finito il tempo degli ultras che entrano negli spogliatoi, salgono sui pullman, si dimostrano - vergognosamente - voce in capitolo. Non è finito finchè c'è gente come i genoani di oggi, succubi e impauriti fino a togliersi la maglia - una cosa che dovrebbe essere stapata sulla pelle -, fino a fare quello che gli chiedono 50 facinorosi. Le società dovrebbero una volta per tutte scrollarsi di dosso questa gentaglia. Lo avrebbero dovuto fare, meglio. Da decenni.

Togliersi la maglia perchè te lo chiedono porta indietro di almeno un paio di lustri un faticoso processo. Come già con Italia-Serbia, a Genova è morto un pezzettino di calcio. Una specie di necrosi in un corpo che è vivo e vitale, finchè resiste, finchè resistiamo. Finchè magari un giorno a vedere queste bruttissime partite non andranno che i soliti 50, quelli che se schioccano un dito trovano qualche miliardario che piange e si toglie la maglia. Che vergogna ragazzi, che vergogna.

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Disse Cerruti …

 

Una settimana fa ho avuto il piacere, di parlare con un importante giornalista del quotidiano sportivo per eccellenza: “La Gazzetta dello Sport”.
Si tratta di Alberto Cerruti che, con grandissima (non per esser ruffiano) disponibilità m'ha parlato telefonicamente, detto cosa pensa riguardo la stagione nerazzurra.
Queste le sue parole: “A parer mio l'Inter ha completamente sbagliato prima il mercato estivo e in seguito quello invernale. Una pazzia prendere Forlan che non poteva giocare in Champions, Guarin infortunato. Sono state addossate troppe colpe agli allenatori, soprattutto Ranieri. Si parla tanto del tecnico per la prossima annata, son stati fatti tanti nomi ma, io personalmente avrei tenuto lo stesso Ranieri per dargli l'occasione di iniziare una stagione intera, mettendogli a disposizione una rosa al meglio”.
Come dargli torto, del resto queste cose le abbiamo viste, valutate un po' tutti, magari dando opinioni, punti di vista differenti ma la sostanza non cambia.
Forlan al di là del “Problema” Champions è stato un flop; poche se non addirittura (senza esagerare) pochissime le prestazioni positive.
Guarin che avendo problemi fisici, non poteva nemmeno volendo scendere in campo, esser la forza in più della squadra.
I mister, esonerati per impazienza come spesso capita nel calcio, figuriamoci se il datore di lavoro si chiama Massimo Moratti; rispetto per l'uomo, il presidente che dal 1995 ci mette il grano nel club ma la pazienza non è certo la sua miglior virtù.


Articolo di :
Gianluca Valotti

Stramaccioni: buona la prima


Una pazza Inter (è proprio il caso di dirlo), sconfigge il Genoa: buona la prima per mister Stramaccioni.
Una vittoria che riporta il sorriso al club interista, fa sperare, anche se i veri tifosi come sappiamo da tempo, non mollano mai, sperano sempre; certamente permette di credere leggermente di più alla scalata verso le posizioni europee, guardando anche o soprattutto ai risultati negativi di Napoli, Udinese e Lazio.
Perché vincere conta lo sappiamo, pero' talvolta non basta e i nerazzurri per completare la rimonta, oltre a ottenere una serie di risultati da applausi, dovranno confidare nei passi falsi degli avversari.
Stramaccioni al primo colpo ottiene subito il massimo: bisognava vincere e così è andata, al di là del finale da brividi, i tre rigori concessi, un incrocio tra grandi giocate e errori gratuiti.
Va bene esser felici, non bisogna mollare, ma da qui a parlare come fanno alcuni di una squadra che  è ripartita, pronta a vincere diversi match consecutivi, non voglio deludere alcuno, ma c'è di mezzo non un mare, ben due mari.
Serve cautela, realismo e la realtà dice che se, il campionato finisse in questo modo, il team nerazzurro non si qualificherebbe nemmeno per l'Europa League.
Non si giudichi, a film appena iniziato, il nuovo allenatore da sconosciuto a fenomeno della situazione; lasciamolo lavorare senza mettergli troppe pressioni, non etichettandolo in un certo modo: probabile salvatore della patria, uomo dei miracoli.
Evitate (riferito a una parte di tifosi e giornalisti) di far passare come successo con Ranieri, un tecnico prima fenomenale e al primo periodo buio un fenomeno da baraccone.
Siate coerenti, moderati nel giudicare.
Ranieri non fece nulla di miracoloso (seppur lavorando bene), nei mesi ove si pensò seriamente a una ripresa, un ritorno di fuoco nerazzurro e non è stato il fesso di turno poi.
Stramaccioni non giudicatelo pronto già ora, la scossa giusta per scuotere il gruppo, colui capace di compiere cose inaspettate.
Un lungometraggio, va seguito dall'inizio alla fine per dare un giudizio preciso.
E' appena iniziato, le luci in sala si sono spente, il pubblico presente ha da poco cominciato ad accomodarsi in poltrona, a sgranocchiare i pop corn, a guardare lo schermo affascinato, curioso, chiedendosi più o meno inconsciamente, se quando usciranno i titoli di coda, si riaccenderanno le luci, lascerà la comoda poltrona, la sala cinematografica, uscirà giudicando il tutto un capolavoro, oppure piacevole senza troppi complimenti o con un secco e sincero: “Non mi è piaciuto”.

 

articolo di
Gianluca Valotti

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