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Immaginiamo un enorme rastrello che cala sul campo appena rizollato di San Siro e, come un grande pettine, trova in 180 minuti tutti i nodi sparsi lungo i 110 m x 65 del tappeto. Stesso stadio, due partite, otto gol presi, due fatti, due mezz'ore finali giocate in 10 e in atteggiamento di totale resa. E pensare che fino alle 20 e 46 di sabato (tre giorni fa!) eravamo in corsa per tutto, capolista e semifinalisti di Champions in pectore. Tre giorni e due ore dopo siamo fuori dalla Champions e terzi in campionato. Laceri e contusi.
Onore all'Inter, a quest'Inter, a quella che è stata e che magari sarà ancora prestissimo, chi può dirlo?, forse già da sabato, passata la sbornia e raccolte le macerie. In questo periodo storico è una squadra che non c'è, stanca di gambe e di testa, e così - con queste gambe e con queste teste - non si va da nessuna parte. Doppia sfida col Bayern a parte (dove evidentemente la squadra aveva tirato fuori tutto), è da un po' che ci trasciniamo. A Brescia e col Lecce, fatte le debite proporzioni con gli avversari, eravamo già a questi livelli rasoterra. Paghiamo anche i nostri meriti, perché a gennaio e febbraio abbiamo giocato uno sterminio di partite. Paghiamo anche la sfiga, su tutte quella di dover continuamente cambiare la coppia di centrali, già sottoposta di suo a troppi spifferi. In due partite, decisive, abbiamo pagato tutto.
Onore all'Inter, viva l'Inter eccetera eccetera. Non sono di quelli che escono dallo stadio mezz'ora prima, butta via la sciarpa e insultano quelli che ti hanno fatto vincere qualsiasi cosa, questo mai. Ma non voglio innalzare nessun peana un tanto al chilo. C'è modo e modo di perdere. Non mi piace vedere la mia squadra che non lotta più, gli attaccanti che non tornano manco a pagarli, i centrocampisti che tirano indietro il piede, i difensori smarriti come Pollicino, il portiere che non si tuffa. Viva l'Inter, ti amo ti adoro ecc. ecc., ma datti una mossa.